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Il rapporto dell’Italia con i Fondi Europei: una relazione travagliata

Il rapporto dell’Italia con i Fondi Europei: una relazione travagliata

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Con l’articolo di oggi, usciamo un po’ dal nostro consueto contesto per fare il focus su un tema che dovrebbe essere molto caro alle aziende e che invece è spesso sottovalutato.

Iniziamo quindi subito con una provocazione per andare dritti al punto: inutile girarci attorno, il nostro paese è sempre stato negato nella progettualità e nella visione a lungo termine, soprattutto quando parliamo della quantità di denaro che arriva dall’Unione Europea. Come uno dei paesi fondatori dell’UE, l’Italia è sempre stata anche tra quelli che ha ricevuto più sussidi, i quali, poi, inevitabilmente, sono tornati indietro.

Quando parliamo di Fondi Europei parliamo di uno degli strumenti più potenti a disposizione degli Stati membri dell’Unione Europea per stimolare la crescita economica, migliorare la qualità della vita dei cittadini e ridurre le disuguaglianze tra le diverse regioni europee.

Tuttavia, l’Italia, pur essendo tra i maggiori beneficiari di tali fondi come già sottolineato, non ha sempre mostrato una gestione efficiente e rapida nell’utilizzarli.

Ora, viene spontaneo chiedersi per quale motivo? Come mai non se ne parla abbastanza e perché il nostro paese non riesce a gestire al meglio opportunità del genere? Vediamo più nel dettaglio il rapporto tra l’Italia e i Fondi Europei, considerando sia i successi che le difficoltà.

 

La Politica di Coesione

La Politica di Coesione è il principale canale attraverso cui i Fondi Europei vengono destinati agli Stati membri. Il suo obiettivo è promuovere lo sviluppo economico e sociale nelle regioni meno sviluppate e rafforzare la coesione all’interno dell’Unione. Nel ciclo di programmazione 2021-2027, l’Italia ha ricevuto oltre 74,6 miliardi di euro, suddivisi tra Fondi Strutturali e Fondi di Coesione.

Questi fondi sono cruciali per lo sviluppo infrastrutturale e sociale delle aree meno avanzate, come il Sud Italia. Tuttavia, l’impatto positivo di tali finanziamenti dipende fortemente dalla capacità amministrativa e operativa delle istituzioni italiane a livello nazionale e regionale.

E questo, come sappiamo, per l’Italia, è un grande problema, considerato che molte regioni, specialmente quelle del sud, non possiedono capacità, competenze umane e programmazione a lungo termine necessarie per lo sviluppo e l’utilizzo di tutto il budget.

 

Il Problema della Spesa Lenta

Un altro dei principali problemi riscontrati dall’Italia nel corso degli anni è la difficoltà a spendere i fondi a disposizione entro le scadenze previste. Secondo i dati più recenti, alla fine del 2023, il nostro Paese è riuscito a spendere solo lo 0,9%delle risorse assegnate per il ciclo di programmazione 2021-2027. Questo significa che, su 74,6 miliardi di euro, meno di 700 milioni sono stati effettivamente utilizzati per progetti concreti.

Questa lentezza comporta rischi enormi, in quanto i fondi non spesi devono essere restituiti all’Unione Europea, come è accaduto in passato. Nel ciclo di programmazione 2014-2020, l’Italia ha restituito circa 3 miliardi di euro a causa dell’incapacità di utilizzarli entro i termini previsti. Un dato allarmante se si considera che questi soldi avrebbero potuto generare investimenti strategici in infrastrutture, ricerca, digitalizzazione e formazione professionale.

 

Un mix di burocrazia e mancanza di capacità

Diversi fattori concorrono a questa difficoltà nell’assorbimento dei fondi. Innanzitutto, la burocrazia italiana è notoriamente complessa, con procedure lunghe e spesso inefficienti. La moltiplicazione di enti e livelli di governo coinvolti nella gestione dei fondi crea una frammentazione amministrativa che rallenta l’intero processo.

Un altro fattore critico è la mancanza di progetti maturi e pronti per essere finanziati. Molti dei progetti presentati dalle regioni o dagli enti locali non soddisfano i requisiti necessari per ottenere i finanziamenti, o, semplicemente, non sono sviluppati in maniera tale da poter essere realizzati in tempi brevi. Inoltre, la scarsa formazione degli amministratori locali e la mancanza di competenze specifiche nell’utilizzo dei fondi europei aggrava ulteriormente la situazione. Il sistema italiano di gestione dei fondi appare quindi spesso impreparato ad affrontare le sfide e le opportunità che questi rappresentano.

 

Effetti e conseguenze sul territorio

L’incapacità di spendere i fondi europei ha ripercussioni importanti sul territorio italiano, in particolare nelle regioni del Sud, dove i finanziamenti europei rappresentano una delle poche fonti di investimento pubblico. La mancata realizzazione di progetti infrastrutturali, di formazione e di sviluppo penalizza ulteriormente queste aree già in difficoltà, contribuendo a mantenere il divario tra Nord e Sud.

Nel contesto delle crisi economiche che l’Italia ha affrontato negli ultimi decenni, dall’ultima recessione alla pandemia di Covid-19, i fondi europei avrebbero potuto rappresentare un volano di ripresa economica. Tuttavia, il ritardo nella spesa di questi fondi continua a ostacolare il loro impatto positivo.

 

Il PNRR e la necessità di nuove riforme

Il governo italiano ha riconosciuto la necessità di riformare il sistema di gestione dei fondi europei e ha avviato iniziative per accelerare la spesa e migliorare la capacità di gestire i progetti. Tra queste, l’inclusione dei fondi all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che prevede una spesa accelerata e obiettivi precisi da raggiungere entro il 2026, è stata un passo importante.

Un altro intervento chiave è stato il tentativo di semplificare la burocrazia e di rafforzare la cooperazione tra amministrazioni centrali e locali. Tuttavia, perché queste riforme abbiano successo, è necessario un impegno costante e una maggiore capacità di coordinamento tra i diversi livelli di governo.

L’Italia, inoltre, ha bisogno di investire nella formazione delle risorse umane, in particolare a livello locale, dove spesso manca la competenza necessaria per gestire fondi europei in modo efficiente. Solo con un rafforzamento delle competenze e un’efficace digitalizzazione delle procedure amministrative sarà possibile superare i ritardi accumulati negli anni.

 

Un altro tipo di fondi in Italia: il ruolo dei Fondi Interprofessionali nella Formazione Continua delle PMI

Prima di concludere mi piacerebbe fare un piccolo excursus su un tipo diverso di fondi che, seppure nel suo piccolo, rappresenta un interessante strumento per lo sviluppo delle competenze in Italia.

Lo strumento di cui parlo è rappresentato dai Fondi Interprofessionali, istituiti nel 2000 con l’obiettivo di finanziare la formazione continua dei lavoratori. I Fondi Interprofessionali operano attraverso il contributo obbligatorio dello 0,30% sul monte salari, che le aziende possono scegliere di destinare a uno dei fondi disponibili per finanziare la formazione dei propri dipendenti.

Attualmente, esistono 19 Fondi attivi, tra cui i più rilevanti sono Fondimpresa, FondItalia, Fondartigianato e FonARCom, che coprono settori chiave come l’industria, il commercio e l’artigianato.

La loro importanza risiede nella loro capacità di sostenere la competitività delle imprese italiane, migliorando le competenze dei lavoratori e favorendo la loro occupabilità. La formazione finanziata da questi fondi aiuta le imprese a mantenere il passo con le esigenze del mercato, specialmente in ambiti come la digitalizzazione, la sostenibilità e l’innovazione di processo.

Tuttavia, anche qui esistono delle criticità. La gestione dei fondi può essere complicata per le piccole imprese, che spesso faticano a presentare progetti formativi adeguati o a comprendere pienamente le opportunità offerte. È quindi essenziale che le imprese siano accompagnate in questo percorso, così da sfruttare appieno le risorse a disposizione.

 

Un’opportunità ancora sfruttabile

I Fondi Europei rappresentano per tanto un’opportunità straordinaria per l’Italia, soprattutto in un momento storico in cui sono necessari investimenti per la ripresa economica e la modernizzazione del Paese. Tuttavia, se non verranno affrontate con decisione le inefficienze strutturali del sistema di gestione, il rischio è che una parte significativa di queste risorse vada sprecata o, peggio, restituita all’Unione Europea.

Quando si parla di restituzione dei fondi, si fa riferimento a una gestione inefficiente che trasmette alla Commissione Europea l’immagine di un’Italia poco attenta nell’uso delle risorse assegnate. Questo potrebbe influire negativamente sulle decisioni future riguardanti la concessione di nuovi finanziamenti e ridurre l’entità dei fondi destinati a sostegni economici successivi.

La sfida per il futuro sarà dunque non solo quella di accelerare la spesa dei fondi, ma anche di migliorare la qualità dei progetti finanziati, affinché abbiano un impatto concreto e duraturo sul territorio. In gioco c’è la possibilità di dare nuovo slancio all’economia italiana e di colmare le disuguaglianze territoriali che affliggono il Paese da decenni.

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