Le sfide si affrontano con il gioco di squadra
Nel mio articolo precedente che trovate qui, vi avevo lasciato una domanda alla quale nessuno ha dato una risposta.
Capisco la vostra timidezza, ma se è lecito fare una domanda, dicono sia cortesia fornire una risposta, e la domanda era: esiste, secondo voi, uno sport che può considerarsi prettamente individuale?
E visto le numerose mani alzate nel pubblico ;-), me la canto e me la suono da solo! La mia personalissima risposta è che uno sport prettamente individuale è molto difficile che esista. Direi impossibile!
Eh già, mi direte voi (sempre che ne abbiate la voglia e ne sentiate il bisogno): il tennis può essere uno sport singolo, il golf, il nuoto, la maratona, il triathlon (l’ho fatto, tiè), la boxe, il tiro al piattello, e via discorrendo.
Ce ne sarebbero di sport pseudo individuali, ma questo perché siamo abituati a pensare in piccolo, così come il 97% delle aziende italiane che vengono definite appunto medio piccole.
Ma provate a pensare ad una Federica Pellegrini, ad un Matteo Berrettini, ad un Costantino Rocca, ad un Alessandro Fabian, ad una Dorothea Wierer e via discorrendo: secondo voi un allenatore, un mental coach, un nutrizionista, un guardarobiere, un pulitore di scarpe, sono forse delle figure estranee ai personaggi che ho citato sopra?
Che ne dite allora di fare un salto quantico e di pensare al Sig. John Elkann, presidente della Ferrari di Maranello? Pensate che lui da solo possa essere in grado di procacciare clienti, gestire i social network e il calendario editoriale, progettare le automobili, trovare i fornitori e qualificarli, definire le procedure di montaggio, assemblare le automobili dalla carrozzeria al motore alla leva del tergicristalli, di andare a fare il pieno di benzina prima di fare il collaudo, andare alla Motorizzazione Civile per l’immatricolazione dell’auto, ecc. ecc.?
E fare anche il meccanico che regola la centralina elettronica e cambia l’olio motore?
Ma dai, su. Facciamo i seri.
Come tutti gli imprenditori, anche John Elkann ha bisogno di una squadra che lo aiuti in tutte le fasi del processo produttivo e oltre, fino a diventare quasi invisibile agli occhi del mondo perché la vera star è l’auto che ci mettiamo, o almeno in tanti speriamo di metterci, sotto al nostro delicato fondoschiena.
Ed è quello che dovrebbero fare tutti gli imprenditori di questo mondo: affidarsi e fidarsi della squadra di collaboratori che con il tempo si è creata, che andrebbe mantenuta per lungo tempo tenendo ingaggiate tutte le persone che ne fanno parte con lo scopo di far loro amare il loro lavoro a tal punto da sentire l’azienda come se fosse la propria.
Purtroppo, invece, ci sono dati oggettivi che oggi dicono l’esatto contrario e sarebbe bello discuterne per trovare una soluzione, ma non ora.
La sensazione di sentirmi davvero parte di una squadra è capitato anche a me, proprio alla mia prima esperienza lavorativa (ne ho parlato sommariamente in un passato articolo legato ad un case study). Potremmo considerare quell’azienda, che ancora oggi opera ed è attiva sul mercato, la Ferrari della calibrazione e sono orgoglioso di averne fatto parte, come credo tutti quelli che, in un modo o nell’altro, hanno fatto parte dell’universo Ferrari. O di qualsiasi altra azienda in cui si sono sentiti realizzati e soprattutto partecipi del gioco di squadra che li ha visti protagonisti.
Il gioco di squadra: uno strumento per affrontare le sfide
Ma torniamo al concetto principale: le sfide si affrontano con il gioco di squadra.
Provate a negarne l’evidenza. Ovvio che per giocare da squadra, è necessario pensare da squadra. Ok che tutti vogliono fare l’attaccante e il portiere lo facciamo sempre fare al più paffutello; peccato però che solitamente è lui che porta il pallone, e se si rompe di stare in porta, addio partita!
L’avrete vissuta anche voi (e parlo ai maschietti dai capelli bianchi o rosa come i miei) almeno una volta questa situazione nel vostro passato. E quanto era frustrante dover abbandonare il campetto dell’oratorio perché il portiere paffutello si era rotto di stare in porta?
Catapultiamo ora la situazione oratoriale al contesto produttivo: se il nostro magazziniere si rompesse le scatole di sistemare la merce in arrivo perché si sente poco riconosciuto sia dal titolare dell’azienda che dai suoi colleghi e se ne andasse a farlo da Amazon (con tutto il rispetto per chi fa il magazziniere da Amazon e a Jeff Bezos che dà loro la possibilità di farlo) con l’aspirazione di potersi esprimerete al meglio e sentirsi realizzato pur essendo sostanzialmente un numero?
O se il nostro CPO (uhhh che siglona, sembra quasi venuto da un mondo situato nella 5 dimensione della galassia della Grande Nube di Magellano), ovvero colui che ha le redini del portafoglio acquisti, si dimenticasse per caso di inviare un ordine ad un fornitore mettendo in crisi tutta la catena produttiva fino ad arrivare agli strali del venditore che ha preso la commessa con tanta fatica?
Potremmo fare esempi simili all’infinito.
Insomma: l’azienda deve essere considerata a tutti gli effetti come una squadra, dove ognuno ha il proprio ruolo, ma all’occorrenza sa sostituire anche il compagno in difficoltà, magari attraverso la famosa matrice di polivalenza tanto cara agli auditor dei sistemi di gestione; dove ogni giocatore sa quale è il suo compito sia in fase difensiva che in quella offensiva e nei momenti di transizione (e qui entra in gioco il mio patentino UEFA B); dove ogni giocatore sa attendere pazientemente il suo turno in panchina perché prima o poi avrà la possibilità di dimostrare all’allenatore il suo vero valore; dove ogni giocatore sa riconoscere il valore e la preparazione dell’allenatore/titolare dell’azienda e può aiutarlo a trovare la terza alternativa che produce soltanto effetti benefici sul risultato finale; dove l’allenatore conosce benissimo tutti i suoi giocatori e utilizza quelli che reputa i più idonei per quel momento specifico della partita che sta giocando.
Quindi, cari imprenditori, facciamo in modo di iniziare veramente a pensare da squadra e proviamo a far entrare lo sport in azienda come concetto metodologico e come strumento vincente per le sfide del mercato tanto complesso come quello attuale.
Pensare come una squadra
E come dobbiamo fare, chiederete. Bella domanda!!! Tutti penseranno che basti fare dei team building aziendale per sistemare il tutto…
Risposta errata!
Quelli servono, certo, ma rimangono uno strumento come tanti che abbiamo a disposizione come imprenditori. Proviamo invece a partire dai fondamentali, come insegnerebbero i mister oculati.
Partiamo con il prendere coscienza del fatto che l’applicazione di un sistema di Risk Management basato sui concetti della ISO 31000 possa rappresentare un ottimo punto di partenza per evitare di incappare in una qualsiasi crisi di impresa.
E il Risk Management parte dal presupposto che il primo step da compiere è sempre quello di valutare il contesto in cui si opera. Ergo: se sto giocando il campionato di terza categoria avrò degli obiettivi, dei giocatori, delle risorse e delle strutture adatte al campionato in cui gioco, e mai e poi mai mi verrà in mente di sfidare una squadra di serie A senza aver prima valutato le conseguenze nefaste che potrebbero accadere.
Oppure: sono pronto a cogliere l’opportunità di attirare un sacco di pubblico per rinsaldare le casse della società e poter investire per scalare le classifiche!
Quindi, imprenditorialmente parlando: affrontare un mercato che al momento ci sembra inarrivabile, è solo un rischio o potrebbe trasformarsi in un’opportunità colossale?
È solo fortuna o esiste un disegno specifico e ponderato? Nel considerare il rischio d’impresa, ho assunto e valutato tutte o quasi tutte le variabili che potrebbero entrare in gioco? E quelle che ho omesso, volutamente o inconsciamente, a cosa mi porteranno?
La metodologia del Risk Management serve proprio a questo: definire il contesto, identificare i rischi e le opportunità, valutarli, analizzarli, ponderarli, trattarli e gestirli nel migliore dei modi che si ritiene essere adatto per affrontare costantemente un miglioramento all’interno dell’azienda intesa nel suo complesso.
Siamo disposti, da imprenditori, ad iniziare dai fondamentali per ottenere il massimo dai nostri collaboratori per vincere le sfide di questo mercato tanto complesso e complicato?
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