Riflessioni sulla diversità: differenza o complementarità?
Si parla molto di “diversity”, quasi fosse una moda e non una necessità.
Istituzioni, scuole, aziende, associazioni hanno introdotto questo concetto come se ora, più che mai, fosse strettamente necessario avere quote rosa ben rappresentate.
In realtà, la questione esiste da sempre e da sempre crea situazioni complesse a vari livelli. Vorrei, all’interno di questo articolo, approfondire alcuni degli aspetti che ho già trattato all’interno di un altro articolo che potete trovare qui.
Ma partiamo dall’inizio: cosa significa diversità?
Se facciamo riferimento al vocabolario della lingua italiana, possiamo trovare differenti spiegazioni, che però riportano quasi tutte ad un unico risultato.
La diversità è:
- contrasto parziale o totale tra i caratteri distintivi di due o più cose o persone
- condizione di chi è considerato da altri, o considera sé stesso, estraneo rispetto a una presunta normalità di razza, propensioni sessuali, comportamenti sociali, scelte di vita.
Partendo da questo presupposto, è facile intuire che nella vita di tutti i giorni si parla di diversità spesso con un’accezione negativa, invece di dare importanza al fatto che essere diversi significa avere la possibilità di interscambiare con altri tutta una serie di esperienze che rafforzano il gruppo, ma anche l’individualità: potersi relazionare con chi è “diverso” da noi è una ricchezza spesso ancora non compresa.
Ma qui stiamo già andando oltre!
L’Italia e il rapporto con il tema della Diversità
Secondo i dati di una ricerca che analizzava il livello di percezione e consapevolezza sui temi di diversità e inclusione tra la popolazione generale e lavoratrice presentata a maggio 2022 dalla’Omnicom PR Group Italia emerge che:
- “solo il 49.6% della popolazione italiana afferma di essere ben informato su DE&I (il 7.0% non lo ha sentito affatto nominare nel dibattito pubblico), mentre la conoscenza di questi temi è superiore nelle aziende dove la percentuale raggiunge il 53.7%. Allo stesso tempo, dalla ricerca emerge che il 65.8% della popolazione concorda che ci sia molta diversità in Italia.” Fonte Economy
Nonostante i dati statistici in linea di massima positivi, dalle ulteriori informazioni ottenute dallo studio, emerge che per la fascia 18-24enni il livello di diversità percepita cala drasticamente sotto la media (59%) rispetto alla fascia dei meno giovani (55-65enni) dove il peso della diversità viene avvertita maggiormente (72%); il nostro paese ha ancora molta strada da fare in questo ambito e le ragioni sono molteplici.
Il rapporto dell’Italia con la disparità di genere
In primo luogo, veniamo da una tradizione contadina a stampo patriarcale, nella quale la donna ha per secoli ricoperto un ruolo secondario, sebbene lavorasse più dell’uomo nelle campagne e si occupasse anche della casa, dei figli e dell’economia domestica.
Un’altra motivazione importante è dovuta alla nostra religione e all’essere il paese che ospita la Santa Sede: nella religione cristiana la donna ha un ruolo importantissimo, ma, se da una parte questo eleva la sua posizione assimilandola alla madre di Cristo, generatrice di vita, dall’altra la vede confinata tra le mura domestiche, regina del focolare e pronta ad accudire marito e figli.
Per ultimo, ma non per questo meno importante, è l’aspetto sociale, diretta conseguenza dei primi due, che hanno profondamente influenzato gli usi e i costumi dei secoli scorsi e che ancora oggi, in una società globalizzata e molto liquida, faticano a trasformarsi. In più, anche se l’era industriale ha creato la necessità di nuova forza lavoro, a seguito della qual cosa anche le donne hanno iniziato a lavorare fuori casa, i ruoli da esse ricoperti sono sempre stati secondari e raramente di comando.
L’impegno verso le nuove generazioni
Credo fermamente che le nuove generazioni abbiano sia una grande responsabilità che una grande chance: dimostrare a chi li ha preceduti che l’integrazione e l’accettazione della diversità è la risposta per evolvere e non certo l’atteggiamento di allontanamento e chiusura che spesso è indice di ignoranza e malafede.
Questo cambiamento è, di fatto, già in atto e lo si vede anche nelle scelte che molte giovani donne fanno per i propri studi: molte più ragazze scelgono scuole superiori ad indirizzo tecnico o scientifico, molte più studentesse universitarie intraprendono percorsi che fino a venti o trent’anni fa erano quasi esclusivamente prerogativa maschile, molte più donne hanno imprese proprie che dirigono con successo e anche a livello militare e politico le quote rosa sono in aumento.
È innegabile che ci siano ancora settori dove la discriminazione è forte e non possiamo certo parlare di parità se prendiamo come parametro di riferimento lo stipendio o le cariche all’interno
di un’azienda strutturata.
Ritengo, tuttavia, che il cambiamento sia iniziato e che stia prendendo corpo e forza un movimento che porterà la donna ad ottenere il giusto riconoscimento a livello sociale, professionale e politico, senza per questo sminuire il prezioso ruolo di essere madre, che presuppone anche la responsabilità di educare le nuove generazioni all’apertura, all’accettazione e alla comprensione di chi è diverso.
La donna avrà un ruolo fondamentale in questo e non possiamo certo aspettarci che tutto arrivi in automatico.
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